Tornare a New York è un po’ come andare a trovare una vecchia amica che non vedevi dai tempi del liceo. Provi a non farti delle aspettative, provi a non porti delle domande, provi a non lasciare spazio ai dubbi, ma la tua mente non riesce a smettere di pensarci: come sarà? Sarà sempre la stessa? Sarà invecchiata? Sapremo ancora sorprenderci insieme?
Questa volta ho solo pochissimi giorni – che dico questa volta, ho sempre e solo pochissimi giorni – per la mia vacanza in solitaria nella Grande Mela, e questo viaggio non poteva capitare in un momento peggiore: sono veramente esausta.
Reduce da un trasloco (l’ennesimo) e da un cambio di lavoro (epocale), affronto questi quattro giorni al limite delle forze.
Ma ho trovato un’offerta vantaggiosissima per un volo diretto e quindi eccomi di nuovo in partenza.
Ed eccola lì, in tutto il suo splendore, la città che non dorme mai, che non rallenta, che non si ferma: ho solamente tre giorni e mezzo e in questo lasso di tempo ristretto e limitato voglio condensare milioni di cose.
Arrivo al JFK un po’ frastornata per il jet lag, ma emozionata come una bambina la notte di Natale: New York mi aspetta con tutti i suoi regali da scartare. Attraverso la Hall degli arrivi canticchiando fra me e me “New York, New York…”. Sì, lo so, fa tanto cliché. A mia (parziale) discolpa posso dire che non ho aspirato ad imitare la voce di Liza, limitandomi a quella di Frank.
Ed eccola lì, in tutto il suo splendore, la città che non dorme mai, che non rallenta, che non si ferma: ho solamente tre giorni e mezzo e in questo lasso di tempo ristretto e limitato voglio condensare milioni di cose.
La voglia di esserci, di viverla e di farmi vivere dalle sue mille luci, dai clacson dei suoi yellow cab, dagli ingorghi onnipresenti delle sue strade mi prende come un incantesimo. Mi serpeggia sotto la pelle.
Non ho programmato niente, sono solo partita. Cosa vedere, quindi? Dove andare?
Le 7 cose da vedere “assolutamente” a New York
Mi faccio prendere la mano e comincio quindi con le consuete tappe turistiche: Madison Avenue, la Quinta Strada, Time Square, il Rockfeller Center e Central Park; una scalata sull’Empire State Building, una visita (doverosa) al 9/11 Memorial.
Da brava “turista” (come odio questo termine…) esaurisco i miei se-vai-a-new-york-non puoi-non-vedere la prima giornata e mezza.
Ma nel pomeriggio del secondo giorno i miei piedi si rifiutano di salire sull’ennesima scala mobile, i miei occhi rifuggono le sontuose vetrine dei negozi che si susseguono, interminabili, una dopo l’altra. La loro malia non ha più effetto su di me, il loro canto di sirena che attira passanti già stregati – che aspettano solo di essere catturati – non funziona più. L’entusiasmo ha ceduto il passo alla stanchezza accumulata: ho solo voglia di pace, di quiete, di silenzio.
Un ossimoro? Una maledizione?
E poi all’improvviso mi viene in mente un libretto arrivato tanti anni fa in redazione: ha soggiornato sulla mia scrivania per settimane. Non mi ricordo l’autore, non mi ricordo il titolo, non mi ricordo la casa editrice: mi ricordo solamente che era una sorta di vademecum dei luoghi “quieti” di NYC. La salvezza!
La salvezza in un Blonde Cappuccino di Starbucks
Entro in uno Starbucks, ordino un “Blonde Cappuccino” e con calma mi metto alla ricerca del famigerato volume in rete… impossibile, non lo trovo… l’ancora a cui volevo aggrapparmi sembra perduta per sempre.
Per non affogare, ci vuole uno sforzo di memoria. E così, stringendo tra le mani quel che resta del mio cappuccino ormai divenuto freddo, mi immergo nei ricordi. Ho bisogno di individuare delle zone tranquille, lontane dalla frenesia, capaci di garantire un perfetto contrappasso al rumore, alla velocità e alle distrazioni super tecnologiche che mi stanno bombardando. Luoghi appartati, immersi nella tranquillità in grado di “disintossicarmi” dallo stress accumulato.
Ho bisogno di immergermi in un’atmosfera di pace e solitudine.
Un modo per lasciarmi la città alle spalle senza per forza dover lasciare la città.
La quiete del Metropolitan Museum
All’ultimo sorso di schiuma, ecco che si accende una lampadina.
Il MET! Certo! L’Astor Court del Metropolitan Museum. Eccola qui, la mia prima tappa all’insegna della slow life newyorkese.
È regola non detta al MET attribuire all’Astor Chinese Garden Court le caratteristiche di un vero e proprio santuario.
Dopo una breve coda entro al Metropolitan e quasi in trance mi dirigo verso l’Astor Court, una perfetta riproduzione di un giardino cinese della dinastia Ming, costruito sulla base di una corte ancora esistente nella città di Suzhou.
È regola non detta al MET attribuire a questo luogo le caratteristiche di un vero e proprio santuario. Si parla a bassa voce, cellulari e fotocamere riposti nelle tasche. I visitatori camminano tra i colonnati in uno stato di rêverie e rispetto. Pensata come luogo di contemplazione della natura, la corte ospita un giardino di rocce, piante cinesi, una piccola cascata e un laghetto con i pesci rossi. Una cupola di vetro colorato simula il cielo e ne suggerisce l’utilizzo che avrebbe avuto nel suo ambiente naturale come terrazza per contemplare la luna. Anche nei giorni più soleggiati, l’ambiente è immerso in una luce diffusa, sognante. Spesso in Cina gli studiosi che possedevano giardini e corti davano loro nomi poetici. Questa, in modo assai appropriato, viene chiamata In cerca di Quiete. Potevo trovare un posto più adatto alle mie esigenze?
Mentre in silenzio leggo la guida del museo, una vecchia signora “nativa” mi si siede accanto e mi chiede se è la mia prima volta a NYC: parte una bella conversazione, di quelle tipiche che si instaurano tra chi viaggia da solo e chi invece cerca qualcuno con cui parlare per interrompere una vita di solitudine.
Mentre in silenzio leggo la guida del museo, una vecchia signora “nativa” mi si siede accanto e mi chiede se è la mia prima volta a NYC: parte una bella conversazione, di quelle tipiche che si instaurano tra chi viaggia da solo e chi invece cerca qualcuno con cui parlare per interrompere una vita di solitudine.
Marla, così si chiama, mi suggerisce di visitare anche i Cloister che si trovano nell’area nord di Manhattan, in prossimità di Fort Tryon Park. E ovviamente, mi impone una gita al GiardinoBotanico.
I Cloister del MET
I Chiostri sono un distaccamento del Metropolitan. Sono una perfetta riproduzione di un monastero medievale – sia dal punto di vista architettonico che di ambientazione – e sono divenuti una sorta di santuario urbano, caro a molti newyorkesi. La totale serenità che vi si respira è un dono raro, universalmente apprezzato, e l’ingresso è incluso nei 25 dollari che ho pagato per entrare al Museo.
Costruiti per ospitare la collezione medievale del museo, al loro interno tutto è autentico: dal magnifico arazzo dell’Unicorno, ai colonnati romanici, dalla pavimentazione in ciottoli dei cortili, alle grottesche dei gargoyle.
Ammalianti canti gregoriani si diffondono nell’aria al passaggio dei visitatori sotto le volte. C’è un bellissimo albero di pere – ormai ha più di 70 anni – che cresce nell’orto del chiostro di Bonnefont. Assolutamente da non perdere.
Alla scoperta dei profumi del Bronx e del suo Giardino Botanico
Una visita al Botanical Garden di NYC è “il modo migliore per respirare la più inebriante delle esperienze newyorkesi”. Letteralmente.
Anche nella stagione più freddina, il Giardino Botanico, mi lascia senza parole. Aperto nel 1902 nel Bronx, è il più grande e antico giardino botanico degli USA e si estende su oltre 250 acri di paradisiache inflorescenze, gemme e giardini rigogliosi. È un assoluto piacere respirare l’aria carica degli infiniti profumi della natura. Lasciate che il vostro naso vi conduca verso l’odore inebriante dell’ultima foresta della città, 40 acri di abeti canadesi, querce, aceri e noci: alcuni alberi hanno oltre 250 anni. Seguite il sentiero all’interno del bosco che conduce fino al vecchio mulino in pietra di Snuff – un buon posto dove riposare e osservare il fiume. C’è anche un tranquillo bosco di conifere sempreverdi che troneggiano al disopra di un letto di aghi di pino balsamici – forse la più malinconica delle essenze sulla terra.
Ci sono andata il giorno dopo il MET, seguendo il consiglio di Marla. Sono arrivata presto e me ne sono andata via tardi. Ho fatto bene. Come dice lei: “è il modo migliore per respirare la più inebriante delle esperienze newyorkesi”. Letteralmente, aggiungo io.
L’ultima mezza giornata a mia disposizione, rinfrancata e rincuorata dalla “quiete” della Grande Mela, mi sono fatta riprendere dalla frenesia turistica dello shopping.
D’altronde, potevo andarmene da New York senza qualche piccolo (mica tanto) ricordino?
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