Partiamo da Yangon per la cittadina di Mandalay. Viaggiamo in bus tutta la notte verso nord, otto ore nel clima glaciale dell’aria condizionata tenuta al massimo.
Abbiamo rischiato di perdere il pulman, l’area della stazione, ad un’ora di taxi dalla città, è talmente grande che si paga un biglietto per entrare e all’interno stazionano centinaia di bus. Trovare il nostro è stato come trovare un ago in un pagliaio.
Arriviamo a destinazione che è ancora buio, e la città è molto poco illuminata. Prendiamo un tuk tuk per l’albergo. Facciamo appena in tempo a fare colazione e a darci una rinfrescata, che inizia la nostra prima escursione giornaliera delle quattro in programma. Con la nottata alle spalle ci si poteva riposare un poco, invece no.
Monastero di Mahagandryon Mandalay
Il tuk tuk corre veloce nel traffico, il ragazzo che ci accompagnerà per tutto il giorno parla un buon inglese, sarà lui la nostra guida.
Siamo diretti a sud della città, al monastero di Mahagandryon dove ogni mattina i monaci sono in fila per richiedere l’unico pasto della giornata.
Eccoli che arrivano da ogni parte della città, con le loro ciotole, alcune già piene per le offerte ricevute lungo la strada (agli uomini viene offerto riso già cotto, alle donne crudo), altre vuote.
C’è un’atmosfera strana, si avverte una sorta di rispettoso silenzio da parte dei turisti che assistono alla sfilata, la naturale scompostezza dei monaci bambini, invece, smorzano i volti composti dei monaci più anziani che sembrano non notare i centinaia di cellulari che riprendono la scena.
Chiunque e a qualunque età, può lasciare casa, famiglia, lavoro e diventare monaco. È un’esperienza che può durare pochi mesi o anni, vige la libertà di scelta. Finita questa parentesi ritornano alla vita che hanno lasciato in sospeso.
Quando tutti i monaci sono entrati nella sala adibita al consumo del pasto, noi ci attardiamo per il monastero, sbirciamo nei dormitori e arriviamo fino alle cucine, dove i cuochi sono ancora impegnati nella preparazione del pasto e i vapori si levano alti da pentole immense.
Mandalay palace
Al centro di Mandalay città si trova il Mandalay Palace, il palazzo reale, circondato da una fortezza con tanto di fossato. E’ una zona molto vasta che ben si vede dalla collina che sovrasta la città, raggiungibile da varie scalinate, minimo mezz’ora di salita sulla Mandalay Hill.
Ci andiamo al tramonto, non solo per lo spettacolo del sole che sparisce dietro l’orizzonte ma anche perché a quell’ora i monaci salgono per perfezionare la lingua inglese parlando con i turisti e per scattarsi foto.
La città di Mandalay ricorda New York per la sua formazione urbanistica a griglia e perché come la città americana usa i numeri per distinguere le vie. Dico questo perché sulla 71st quasi all’angolo con la 27st si trova il Mingalabar Restaurant, (Mingalabar è il saluto più usato in lingua birmana, come il nostro ciao o buongiono) un classico ristorante birmano dove gustiamo verdure, zuppe, pollo al curry il tutto accompagnato in abbondanza dall’immancabile riso, in un ambiente curato e molto carino. Una gustosa cena che ricorderemo a lungo.
Kuthodaw Pagoda Mandalay
Sempre in centro città si trova il Kuthodaw Pagoda, il libro più grande del mondo. Ogni loculo contiene una pagina in stele di pietra per un totale di 1450 pagine, quindi altrettanti piccole tempietti, dove sono riportati gli insegnamenti del Buddha.
Ci perdiamo per queste piccole costruzioni tutte uguali, tutte rigorosamente in fila, tutte bianche.
A Mandalay meritano una visita il quartiere degli orafi, il mercato della giada (estratta purtroppo con il sudore di bambini e ragazzi che vivono in condizioni inimmaginabili) e i vari mercati sparsi ovunque.
Birmania Mandalay cosa vedere nei dintorni
Molte sono le cose da vedere nei dintorni di Mandalay e come di consiueto cerchiamo di non perdere niente cogliendo lo spirito del popolo birmano.
Sagaing
Sagaing è una collina appena fuori città dove, immerse nel verde, si trovano vari monasteri, stupe, pagode e scuole. È appunto in una scuola facciamo la prima sosta.
È un’emozione entrare nelle aule vuote, così scarne e vuote se non per panche e banchi di legno. I ragazzi sono in pausa, alcuni stanno pulendo, altri giocano in giardino, altri pranzano. Chiudo se posso sfogliare un quaderno. Il bambino mi guarda un poco confuso ma poi mi da il permesso.
Hanno il volto sereno questi bimbi, gli occhi scuri sono profondi, guardano con curiosità la nostra pelle e i nostri capelli chiari, ma rimangono composti, fieri e sicuri del loro comportamento.
A scuola imparano l’inglese e anche i problemi di matematica sono scritti in quella lingua. Prima di andarcene lasciamo un’offerta, serve per comprare materiale scolastico e siamo ben liete di contribuire.
Viaggiando sul nostro tuk tuk su e giù per la collina, visitiamo una stupe dove una signora vuole a tutti i costi che faccia una foto con la figlia, alla quale non finisce più di sistemare i capelli, poi saliamo i 350 scalini che ci portano a un sito diverso dal solito, una costruzione semi circolare ad archi che racchiude una serie infinita di Buddha.
Inwa Mandalay
Scendiamo la collina e ritorniamo al fiume dove lasciamo il tuk tuk e ci imbarchiamo su un boat, direzione Inwa.
Inwa è stata la capitale birmana, oggi è una località rurale punteggiata di rovine, edifici monastici, stupa e piccoli villaggi. Lasciata la barca saliamo su un calesse. E’ con questo mezzo di trasporto che visiteremo questa vasta aria.
A differenza di Sagaing qui è pieno di turisti i quali vengono presi d’assalto da venditori di bibite, oggetti intarsiati nel legno, braccialetti… sono piuttosto insistenti devo dire, tanto che quando il calesse parte alcuni ci vengono dietro di corsa.
Il paesaggio rurale è rigoglioso, alberi gigantesti fanno da cornice. Nelle pagode che visitiamo non c’è sfarzo, né ori, né luci da luna park, né ninnoli luccicanti.
In alcuni templi le donne non possono entrare nelle zone adiacenti alle statue del Buddha.
Il monastero di Bagaya Kyaung in legno di teak è stupendo, purtroppo alcune stupe in mattoncini rossi sono ridotti in rovine.
U-bein Bridge
L’U-Bein Bridge è il ponte pedonale in legno di teak più lungo al mondo che attraversa il lago Taungthaman nella regione di Amarapura. È uno dei simboli più fotografati del Myanmar. Dopo averlo sognato e aver visto mille foto, trovarci qui sembra quasi un sogno.
Lo attraversiamo in tutta la sua lunghezza, lo guardiamo e lo studiamo da ogni angolazione.
E’ bellissimo, con il sole che tramonta e con alcuni monaci che vi si stagliano contro si crea un’aria magica, surreale. Sul ponte incontriamo una signora che ha un cesto pieno di piccole civette, non resistiamo e ne liberiamo una, ringraziando il cielo di poter vivere questi momenti.
Mingun Myanmar a nord di Mandalay
Mingun è un piccolo villaggio situato sulla sponda opposta del fiume, poco più a nord di Mandalay. In Birmania le acque, che siano fiumi o laghi, sono da sempre considerate le principali vie di trasporto e collegamento. In un’ora di traghetto siamo arrivati.
La zona è altamente turistica, la via è costellata di bancarelle di suovenir.
Hsinbyume Paya pagoda
Arriviamo alla famosa, bellissima e accecante Hsinbyume Paya. E’ una pagoda insolita, costruita con sette bianche terrazze ondulate che rappresentano le sette catene montuose che circondano il Monte Meru, la mitica montagna al centro dell’universo buddhista. Questa visita è divertente come poche altre!
Poco lontano dalla Hsinbyume Paya troviamo la Mingun Bell, la campana in bronzo che per decenni è stata la più grande del mondo, soppiantata poi da una campana cinese. Questa campana è stata ordinata dal re Bodawpaya, un reggente in preda all’ossessione di far costruire oggetti enormi.
Per lo stesso motivo fece erigere la Mingun Paya che sarebbe dovuta diventare la pagoda più grande del mondo ma, alla morte del re, i lavori cessarono. L’edificio è imponente, un terzo di quello che doveva diventare, il lato della struttura misura 70 metri. Oggi viene descritto come la pila di mattoni più grande del pianeta.
Mandalay e i suoi d’intorni meritavano qualche giorno in più, ci sono molti siti che non abbiamo tempo di visitare. Sarà una buona scusa per tornare, intanto saliamo su un battello e facciamo rotta verso il Regno di Pagan.